c'è un intruso!

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come fregare il cacciatore

lunedì 21 giugno 2010

Aridatece er puzzone

Max Von Sidow nel ruolo di Mingo in Flash Gordon (1980) di Mike Hodges


"Preferisco leggere o guardare un film che vivere...nella vita non c'è una trama"
(Groucho Marx)

Nella narrativa (specialmente in quella avventurosa, ma anche nel dramma e nel melodramma), nei fumetti, nel cinema, al protagonista, specie se caratterizzato come "eroe", si contrappone spesso il "cattivo, meglio definito come villain.
Il termine deriva dal francese arcaico vilein a sua volta derivato dal tardo latino villanus, bracciante agricolo, nel senso di persona legata al terreno di una villa, intesa come fattoria. Si riferiva quindi a chi era al di sotto dello status di cavaliere e per estensione andò a indicare chi era privo di "cavalleria", non legato a un codice d'onore rigidamente strutturato.
Quello che distingue il villain dal semplice antagonista è la sua natura intrinsecamente e irrimediabilmente malvagia, il suo essere comunque agente del male e la megalomane volontà di potenza.
"Gli attributi fisici del cattivo variano in base alla cultura e all'epoca, e costituiscono spesso una trasposizione del pregiudizio del momento di quella cultura, che sia un pregiudizio razziale, politico, religioso o di altro tipo. Proprio come l'eroe è spesso un paragone del canone di bellezza imperante, un cattivo presenta spesso una qualche deformità fisica, a suggerire una mente ugualmente deformata (è il caso del Riccardo III di Shakespeare con la sua gobba o dell'orrorifico Freddy Kruger), oppure un passato rozzo e violento (è il caso di Capitan Uncino di Peter Pan o di Long John Silver de L'isola del tesoro) (…) Nel cattivo la malvagità è spesso riflessa nella bruttezza fisica, come nel caso di Mr. Hyde, ma non è sempre così. Esiste anche lo stereotipo del cattivo affascinante che assomiglia all'eroe per le sue fattezze, ma la sua personalità e il suo atteggiamento tradiscono una natura diabolica. Questa variante sarebbe stata popolare specialmente dopo la Seconda guerra mondiale, quando fu rivelato l'Olocausto, e l'opinione pubblica fu indotta a proiettare il cattivo popolare nell'ideale nazista biondo dagli occhi azzurri. Quella fredda bellezza nasconde però un arrogante senso di superiorità e l'insofferenza verso i cosiddetti "inferiori” (cit. dalla voce Villain di Wikipedia).
Un elenco completo dei villain nella letteratura, nel fumetto, nel cinema (e ora anche nei videogiochi) è assolutamente impossibile, bastino alcuni esempi sparsi:

In letteratura. Il Professor Moriarty, arcinemico di Sherlock Holmes nelle opere di Arthur Conan Doyle; Fantomas nei romanzi di Marcel Allain; Fu Manchu nei romanzi di Sax Rohmer; il Dr. No e Ernst Stavro Blofeld nei romanzi di Ian Fleming (più una parte dei Mad Doctor, sui quali andrebbe fatto un discorso a parte).

Nei fumetti. Ming, imperatore di Mongo da Flash Gordon di Alex Raymond; Lex Luthor da Superman di Jerry Siegel e Joe Shuster; The Joker da Batman di Bob Kane e altri; i 116 (!) cattivi spesso grottescamente deformi da Dick Tracy di Chester Gould (daB.B.Eyes a Flattop Jones, da Pruneface a The Mole); il grandissimo Chalcedon da Jeff Hawke di Sydney Jordan; la miriade di cattivissimi della Marvel e degli altri fumetti di supereroi.

Nel cinema. Rudolf Klein-Rogge come Dr. Mabuse nei film Il dottor Mabuse (1922) e Il testamento del dottor Mabuse (1930) di Fritz Lang; Basil Rathbone come Sir Guy di Gisbourne in La leggenda di Robin Hood (1938) di Michael Curtiz; Peter Sellers come Dottor Stranamore nel film omonimo (1964) di Stanley Kubrick; Vincent Price come Dr. Phibes in L’abominevole dottor Phibes (1971) e nel suo seguito Frustrazione (1972) di Robert Fuest; Tim Curry come Dr. Frank N. Furter in The Rocky Horror Picture Show (1975) di Jim Sharman. E poi almeno il personaggio del Cattivissimo nel cartone animato West and Soda (1965) di Bruno Bozzetto. Ci sarebbe infine tutto il discorso sui telefilm e le serie televisive, ma basta ricordare Dallas (1978-1991) con Larry Hagman nel ruolo di “J.R.” Ewing.

In sostanza le caratteristiche salienti del villain sono:

  • Ricchezza spesso ottenuta in maniera criminale
  • Potere smisurato
  • Volontà di potenza
  • Megalomania
  • Qualche stigma fisico
  • Voracità o perversione sessuale
  • Assoluta mancanza di scrupoli
  • Arrogante eccesso di sicurezza
  • Carisma fondato sulla paura o sull’inganno
  • Grande capacità di manipolazione
  • Non accettazione della sconfitta
  • Tendenza a maltrattare I sottoposti e i complici inetti

Vi ricorda qualcuno? Avete (quasi) indovinato. C’è però una differenza, che è anche quella che rende alla fine il villain quasi simpatico. Che lui è lucidamente cosciente di essere malvagio e mai si sognerebbe di farsi passare per un disinteressato benefattore o peggio per un sostenitore dell’amore e dei buoni sentimenti, che anzi sbeffeggia apertamente. E’ il male che persegue e anche se alla fine verrà sconfitto (fino alla puntata successiva) la sua è una missione non priva di grandezza.

Ma la differenza fondamentale tra finzione e realtà è che nei racconti il villain ha senso in quanto è contrapposto specularmente all'eroe "buono", è in qualche modo funzionale allo svolgimento e alla soluzione narrativa. Nella realtà il villain per essere percepito come tale ha bisogno dell'esistenza di un eroe individuale o collettivo che gli si contrapponga e che lo sconfiggerà (ad esempio, Mussolini e la Resistenza). Quando il "buono" non c'è o non appare sufficientemente definito, al villain riesce il capolavoro cortocircuitale (simile a quello del Diavolo che convince della sua non esistenza) di occupare la funzione opposta.

La questione è poi complicata dal fatto che quanto maggiore è la coscienza politica, tanto minore dovrebbe essere necessaria la presenza di carisma: non ci dovrebbe essere bisogno, anche per evitare disastrose conseguenze, di nuovi Lenin e neppure di nuovi Che Guevara. Ci sarebbe bisogno di una qualche forma di carisma diffuso, esteso, collettivo, relazionale. Magari con qualche bel simbolo (dal greco sùmbolon, che mette assieme) tipo il Tymish che nel finale di Arsenale offre il petto ai proiettili che non lo possono abbattere.

Semyon Svascenko nel ruolo di Tymish in Arsenale (1928) di Aleksander Dovzhenko

5 commenti:

Anonimo ha detto...

5 stelle. Non aggiungo parola.
Lidia

Tullix ha detto...

Grazie, Lidia. Il tuo apprezzamento mi consola delle ore rubate al sonno per trovare su internet il fotogramma da "Arsenale", che pensavo fosse facilmente reperibile, vista la sua potenza iconica. In realtà avrei potuto scannerizzare qualcuno dei miei libri di cinema, ma ormai mi ero impuntato.
Tu sei quella Lidia lì?

Zio Scriba ha detto...

Ho divorato questo tuo pezzo: analisi brillante, interessantissima, e tesi finali che non fanno una grinza. Purtroppo.

Tullix ha detto...

Grazie, Zio. Essere apprezzati da chi si apprezza innesca spirali virtuose e forse può contribuire a far fare qualche passo in più alla critica, verso una massa critica che ci dovrà pure essere da qualche parte, in qualche tempo.

stellarossa ha detto...

bravo! anche io ti ho letto d'un fiato!
Il cinema è una tua passione ma è raro riuscire a trasmettere le nostre passioni, tu ci riesci accidenti!
@ zio non sai quanto mi manchi,
@ Lidia, anche tu.
sento che sta per cadere la linea,mannaggia..ciaoooooo