c'è un intruso!

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come fregare il cacciatore

mercoledì 13 luglio 2011

Per un'apologia della lentezza


Lo confesso: non amo la velocità, non l'ho mai amata. Da piccolo ero praticamente terrorizzato dall'altalena, sia quella con le corde sia quella a bilancia, per non parlare degli scivoli, per fortuna allora poco diffusi. Quando arrivava Carnevale, a Torino veniva montato un Luna Park in piazza Vittorio con un mostruoso ottovolante proprio vicino al Po e io cercavo di far spendere tutti i soldi a mia madre o a mio zio prima di arrivare lì, attardandomi in tiri di palline da ping pong a sfigatissimi pesci rossi destinati a brevi e travagliate vite in impropri recipienti di vetro casalinghi, oppure in iterativi giri di giostra o lenti autoscontri. Anche i castelli delle streghe e i tunnel dell'orrore mi piacevano molto, come pure i labirinti di specchi, anche se avevo capito subito che bastava guardare il pavimento per trovare l'uscita. Dopo scorpacciate di torroni, croccanti, zucchero filato evanescente e truffaldino e lecca lecca enormi e coloratissimi però non c'era niente da fare, si arrivava sempre alle montagne russe: "non avrai mica paura, no? sei un ometto". E sì che avevo paura di quel mostruoso reticolo metallico attraversato da rotaie e sferraglianti catene sporche di grasso, con quella musica sparata a tutto volume e le urla dei passeggeri durante "le discese ardite e le risalite", il lento raggiungimento inclinatissimo della cima, poi la sospensione e la bastardissima e acceleratissima caduta con brusca curva e miracoloso non sganciamento del carrello con volo nella sera e definitivo tuffo nel Po, già allora lurido e puzzolente. Anche da adolescente, con gli amici e le ragazze, toccava sempre questa prova di machismo cretino con accordo - pallidissimo e dubitoso sempre - di fiducia all'equilibrio tra forze centrifughe e centripete e massimamente all'ottusissima forza di gravità.
Pure con la bicicletta ho sempre avuto problemi, proprio perché l'equilibrio si basa su una velocità minima che non riuscivo a cogliere o - se magicamente la raggiungevo - non sapevo poi come controllare, finendo inevitabilmente la maligna corsa in rovinose cadute e sbucciature di ginocchi. Non parliamo poi di scooter e motociclette, affrontate sempre da passeggero riluttante e con la testarda tendenza a non assecondare l'inclinazione da curva.
Infine arrivò la macchina (la prima, una vetusta, spompatissima e pesantissima Lancia Appia II serie con guida a destra, cambio al volante, avviamento a leva e porte posteriori con apertura rovesciata: se non venivano chiuse bene, a una certa velocità si aprivano da sole fungendo da freni aerodinamici) che poggiando su quattro ruote almeno il problema dell'equilibrio non lo poneva. In quanto alla velocità, il superamento dei cento all'ora rappresentava comunque una trasgressiva rottura del continuum spazio-temporale che avrebbe potuto portare a effetti imprevedibili, come ben provvedeva a segnalare l'accresciuta produzione di adrenalina, uno degli ormoni nei confronti del quale ho sempre nutrito legittimi sospetti (un altro è il testosterone, ma questa è un'altra storia).

Non che non riconosca all'adrenalina un'utilissima funzione nelle situazioni di pericolo tipo "combatti o fuggi" (anche il pacifico e lentissimo bradipo dell'immagine in alto riesce, se necessario, a mordere o ad arrampicarsi velocissimo in cima all'albero su cui vive) ma, al di fuori di quelle "necessità", la produzione ostinatamente ricercata (surf, skydiving, bungee jumping, rafting, ma anche sci, per fare degli esempi) mi pare equiparabile alla produzione forzata di endorfine in pratiche di sesso estremo tese a potenziare l'intensità delle sensazioni e dell'orgasmo (strapazzamento di capezzoli mediante mollette da bucato, soffocamenti, legamenti, frustate, dilatazioni pericolose, ecc.): insomma, trucchetti perversi. Per questo ritengo che film come Un mercoledì da leoni (Big Wednesday, USA, 1978) di John Milius e Point Break (Point Break, USA, 1991) di Kathryn Bigelow, pur molto belli, soffrano di una pesante ambiguità ideologica più pericolosa di quella di film dichiaratamente "adrenalinici" tipo Speed (Speed, USA, 1994) di Jan de Bont o i vari Mission: Impossible.
Peraltro la recente performance dell'europarlamentare leghista Enrico Francesco Speroni che ha raggiunto su un'autostrada tedesca i 316 km/h dovrebbe pur dire qualcosa.
E' che al di sopra di una certa velocità diventa impossibile esercitare l'osservazione e l'immaginazione: passi di fianco a una situazione e non fai proprio in tempo a capire che pezzo di vita stai affiancando. Un esempio: all'inizio dell'autostrada per Asti e resto del mondo, sulla sinistra c'è una specie di finto castello in stile pseudo neogotico da inizio novecento probabilmente in via di lesionamento strutturale per le vibrazioni continue da TIR; nel giardino si intravvedono ombrelloni e tavolini con relative sedie, quindi qualcuno ci abita: chi è, perché, il marito cornifica la moglie e/o viceversa, i figli saranno incestuosi, la suocera si starà rincoglionendo, soffriranno tutti adeguatamente (perché i ricchi devono piangere) o si annoieranno e basta? Non lo sapremo mai, tutto sparito dietro una cunetta. Sì, puoi uscire dall'autostrada, tornare indietro, cercare il posto, fare indagini, chiedere in giro, spiare, farti inseguire dai cani e magari arrestare dalla polizia: ma non lo faremo e un altro pezzo di realtà continuerà a esistere nonostante noi.
Che differenza con l'arte del flâneur di cui parlano Charles Baudelaire, Walter Benjamin e Robert Walser!
Rispetto all'automobile (sulla quale o guidi o, se passeggero, tieni compagnia al guidatore) il treno - e diversamente anche l'aereo o la nave - permette una pluralità di azioni piuttosto ampia: puoi guardare dal finestrino, camminare nel corridoio, dormire, lavorare, chiacchierare, interagire anche sessualmente, giocare, ascoltare musica, vedere film o altro e soprattutto leggere. Anzi è stato proprio lo sviluppo delle ferrovie all'inizio dell'ottocento a dare un formidabile impulso all'industria editoriale. Salivi sul treno, cercavi lo scompartimento, sistemavi i bagagli, ti mettevi comodo e zac! tiravi fuori il tuo bel libro e via con la fantasia. Ho ricordi bellissimi di viaggi che duravano più di un giorno per andare in vacanza dai parenti materni in Sicilia negli anni cinquanta con certe letture di romanzi di Urania interrotte solo per addentare pagnotte con mortadella o frittata e precedute dall'avvistamento del mare in Liguria al mattino prestissimo (l'aurora, l'alba?).
Ma la lettura di un libro (poniamo un romanzo di 200-300 pagine) richiede, per quanto si sia veloci, un certo tempo, sempre che si voglia rispettare l'equazione "ho fatto un viaggio / ho letto un libro". Ora, ho saputo che con la TAV il tempo di percorrenza da Torino a Lione scenderebbe da 4 ore e mezza a un'ora e mezza, appena sufficiente per un paio di racconti. Certo, i gianduiotti arriveranno a Lione come appena fatti e i gamberetti del Po come appena pescati, con gran gioia dei mercati atlantici.
Non bastasse la questione della velocità, alla TAV ovviamente sono ferocemente contrario anche per altri motivi. Ho cercato di capire le ragioni di chi è favorevole, ma trovo le controargomentazioni più convincenti anche dal semplice punto di vista costi-ricavi (a esempio, se l'attuale galleria non permette il passaggio dei container ISO, piuttosto di scavare una nuova galleria si potrebbero semplicemente utilizzare container diversi già esistenti, ma così i costruttori-distruttori non ci guadagnerebbero niente).
Un'immagine che mi è rimasta impressa delle manifestazioni NO TAV in Val di Susa è quella di un corteo che passa in mezzo ai piloni di un altissimo viadotto: il fatto che uno scempio sia già stato fatto non significa che si debba moltiplicare per l'interesse di ristrette minoranze. L'Italia degli anni del boom è stata massacrata, asfaltata, cementificata con la scusa di creare infrastrutture moderne, in realtà per favorire a esempio lo sviluppo automobilistico FIAT e l'espansione di settori di ceto medio (i camionisti-padroncini, per dirne una) impregnati di ideologia liberista suicida (come, in altro campo, i pescatori, che sono riusciti, con lo sfruttamento incontrollato del mare, a distruggerlo e quindi a distruggersi, come ha ben documentato uno speciale di Annozero di un paio di settimane fa).
Non vorrei essere frainteso: non sono un sostenitore nostalgico a oltranza della natura incontaminata, non credo all'ideologia del naturale = buono = giusto = bello (la peste bubbonica, la morte, i terremoti e il vento in città sono naturali ma non per questo auspicabili). Credo che tra "natura" e "cultura" debba esistere una dialettica e proprio questa dialettica sia in qualche modo misura della nostra "umanità": certamente però le autostrade e altri rassicuranti "non-luoghi" (e "non tempi") sono orrendi, come mi pare orrenda, inutile e dannosa tutta questa questione dell'alta velocità (quando poi il tempo risparmiato diventa possibilità di qualche altro sporco affare e bastarda speculazione per una crescita sempre maggiore e sempre più suicida). L'unica alta velocità che sarebbe interessante sviluppare sarebbe quella di evoluzione intellettuale, culturale, affettiva, morale, sociale.
Se devo scegliere però, sto dalla parte di Dino Campana:

Fabbricare, fabbricare, fabbricare / preferisco il rumore del mare

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Note e crediti
  1. Come avrete capito il simpatico animaletto della prima immagine è un Bradipo tridattilo (Bradypus tridactylus) (si vede dal numero di dita) e non ha niente a che vedere con le scimmie ma fa parte dell'ordine degli xenartri (o sdentati) insieme al formichiere e all'armadillo. Gli arti anteriori sono molto sviluppati e lo rendono un ottimo arrampicatore e anche un velocissimo nuotatore (se strettamente necessario). Raggiunge grosso modo le dimensioni di un gattone e grazie all'estrema lentezza vive fino a trent'anni. I maschi passano tutta la vita sullo stesso albero, mentre le femmine (che si riproducono una volta l'anno: il corteggiamento consiste in una serie di strazianti mugolii per porre fine ai quali alla fine le femmine cedono) lasciano ogni anno l'albero al figlio. Dall'albero si scende una volta a settimana, per il cibo e i bisogni corporali (non è raro il caso di addormentamento durante l'espletamento degli stessi). Un animale fantastico!
  2. Il personaggio della seconda immagine è un Road Runner (Geococcyx californianus, della famiglia dei cuculidi, non è quindi uno struzzo), conosciuto in Italia com Beep Beep e creato, insieme all'antagonista Wile E. Coyote (in Italia Vil Coyote), nel 1948 da Chuck Jones per la Warner Bros. E' velocissimo e sempre insidiato dallo sfigatissimo ma ingegnosissimo coyote, dalla cui parte ovviamente sto.
  3. Il cervello di Enrico Francesco Speroni proviene dal set del film Frankenstein Junior (Young Frankenstein, USA, 1974) di Mel Brooks, dove era etichettato come "A.B.Normal".
  4. La terza immagine è tratta dal film Come vinsi la guerra (The General, USA, 1927) di Buster Keaton, ma non dovrebbe esserci bisogno di dirlo.
  5. Su Baudelaire, Benjamin e Walser chiedete al vostro libraio di fiducia: se non li conosce cambiate libraio.
  6. I gamberetti del Po, se esistono, non credo siano commestibili. I gianduiotti sì.


3 commenti:

Nik ha detto...

Fratello!

Odio e ho sempre odiato la velocità, ricordo ancora con angoscia le altalene di quand'ero piccolo e i vari ottovolanti di Gardaland quando ci porto il figlio.

La vita va assaporata con lentezza, le emozioni godute momento per momento, la nostra vita dura poco: in un'ottantina d'anni a furia di correre ne viviamo meno della metà!

...penso di essere uno dei pochi motociclisti che in autostrada si fanno sorpassare dai TIR.

stellarossa ha detto...

a me un pochino di velocità non sarebbe sgradita...
15 minuti ( con molta fortuna ) e son qui a scrivere dopo aver letto questa delizia di post.
La TAV è una insensatezza, una "sulennissima minchiata".Io sto sempre dalla parte degli indiani.
Adesso siamo a 25 minuti di connessione,provo a pubblicare prima che collassi la linea della prestigiosa e velocissima telecom italia.

Tullix ha detto...

@ Nik
Grazie, Nik, mi sento meno solo. Sulle autostrade ho scoperto stanotte, cercando notizie sul film "Home" che hanno dato su Rai3, che la prima autostrada a pedaggio al mondo è stata costruita in Italia nel 1923 (Milano-Laghi, tratto fino a Gallarate) da un certo ingegner Piero Puricelli, che probabilmente si credeva intelligentissimo. Primati italiani.

@ Stellarossa
Ho dimenticato di aggiungere che le uniche altre velocità che mi interessano, oltre quella di evoluzione umana, sono quelle di connessione a internet e di accensione (e spegnimento) dei computer