
c'è un intruso!

come fregare il cacciatore
mercoledì 30 giugno 2010
Ciao, Pietro

lunedì 21 giugno 2010
Aridatece er puzzone

In letteratura. Il Professor Moriarty, arcinemico di Sherlock Holmes nelle opere di Arthur Conan Doyle; Fantomas nei romanzi di Marcel Allain; Fu Manchu nei romanzi di Sax Rohmer; il Dr. No e Ernst Stavro Blofeld nei romanzi di Ian Fleming (più una parte dei Mad Doctor, sui quali andrebbe fatto un discorso a parte).
Nei fumetti. Ming, imperatore di Mongo da Flash Gordon di Alex Raymond; Lex Luthor da Superman di Jerry Siegel e Joe Shuster; The Joker da Batman di Bob Kane e altri; i 116 (!) cattivi spesso grottescamente deformi da Dick Tracy di Chester Gould (daB.B.Eyes a Flattop Jones, da Pruneface a The Mole); il grandissimo Chalcedon da Jeff Hawke di Sydney Jordan; la miriade di cattivissimi della Marvel e degli altri fumetti di supereroi.
Nel cinema. Rudolf Klein-Rogge come Dr. Mabuse nei film Il dottor Mabuse (1922) e Il testamento del dottor Mabuse (1930) di Fritz Lang; Basil Rathbone come Sir Guy di Gisbourne in La leggenda di Robin Hood (1938) di Michael Curtiz; Peter Sellers come Dottor Stranamore nel film omonimo (1964) di Stanley Kubrick; Vincent Price come Dr. Phibes in L’abominevole dottor Phibes (1971) e nel suo seguito Frustrazione (1972) di Robert Fuest; Tim Curry come Dr. Frank N. Furter in The Rocky Horror Picture Show (1975) di Jim Sharman. E poi almeno il personaggio del Cattivissimo nel cartone animato West and Soda (1965) di Bruno Bozzetto. Ci sarebbe infine tutto il discorso sui telefilm e le serie televisive, ma basta ricordare Dallas (1978-1991) con Larry Hagman nel ruolo di “J.R.” Ewing.
In sostanza le caratteristiche salienti del villain sono:
- Ricchezza spesso ottenuta in maniera criminale
- Potere smisurato
- Volontà di potenza
- Megalomania
- Qualche stigma fisico
- Voracità o perversione sessuale
- Assoluta mancanza di scrupoli
- Arrogante eccesso di sicurezza
- Carisma fondato sulla paura o sull’inganno
- Grande capacità di manipolazione
- Non accettazione della sconfitta
- Tendenza a maltrattare I sottoposti e i complici inetti
Vi ricorda qualcuno? Avete (quasi) indovinato. C’è però una differenza, che è anche quella che rende alla fine il villain quasi simpatico. Che lui è lucidamente cosciente di essere malvagio e mai si sognerebbe di farsi passare per un disinteressato benefattore o peggio per un sostenitore dell’amore e dei buoni sentimenti, che anzi sbeffeggia apertamente. E’ il male che persegue e anche se alla fine verrà sconfitto (fino alla puntata successiva) la sua è una missione non priva di grandezza.
Ma la differenza fondamentale tra finzione e realtà è che nei racconti il villain ha senso in quanto è contrapposto specularmente all'eroe "buono", è in qualche modo funzionale allo svolgimento e alla soluzione narrativa. Nella realtà il villain per essere percepito come tale ha bisogno dell'esistenza di un eroe individuale o collettivo che gli si contrapponga e che lo sconfiggerà (ad esempio, Mussolini e la Resistenza). Quando il "buono" non c'è o non appare sufficientemente definito, al villain riesce il capolavoro cortocircuitale (simile a quello del Diavolo che convince della sua non esistenza) di occupare la funzione opposta.
La questione è poi complicata dal fatto che quanto maggiore è la coscienza politica, tanto minore dovrebbe essere necessaria la presenza di carisma: non ci dovrebbe essere bisogno, anche per evitare disastrose conseguenze, di nuovi Lenin e neppure di nuovi Che Guevara. Ci sarebbe bisogno di una qualche forma di carisma diffuso, esteso, collettivo, relazionale. Magari con qualche bel simbolo (dal greco sùmbolon, che mette assieme) tipo il Tymish che nel finale di Arsenale offre il petto ai proiettili che non lo possono abbattere.
Semyon Svascenko nel ruolo di Tymish in Arsenale (1928) di Aleksander Dovzhenko
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