
D'un tratto gridò
che non era il destino se il mondo soffriva,
se la luce del sole strappava bestemmie:
era l'uomo, colpevole. Almeno potercene andare,
far la libera fame, rispondere no
a una vita che adopera amore e pietà,
la famiglia, il pezzetto di terra, a legarci le mani.
(Cesare Pavese, da Fumatori di carta, 1932)
Il cav granbollito si è esibito l'altroieri in una delle sempre più frequenti performance mediatiche a uso di deficienti applaudenti (spero che qualcuno registri le facce dei laudatores entusiasti, in modo - quando si sarà finalmente tolto di mezzo - da poterli individuare e tenere alla distanza conseguente): questa volta, di fronte ai "cristiano riformatori" o qualcosa del (de)genere, ha attaccato la scuola pubblica, colpevole di "inculcare valori diversi da quelli inculcati dalle famiglie".
Ora, uno dei disastri maggiori di questo disgraziato Paese (ed è quindi quasi incredibile che sia riuscito lo stesso a produrre eccellenze umane assolute di arte, scienza e cultura), oltre la presenza inquinante, avvelenante e vischiosa della C.C.A.R. (chiesacattolicapostolicaromana), è rappresentato proprio dallo strapotere della Famiglia, vera associazione a delinquere, fonte di corruzione morale e freno all'umana dignità (diceva Leo Longanesi che sulla bandiera degli italiani andrebbe apposto come motto "Tengo famiglia"). La famiglia ampia di Avetrana e quella minima di Erba non sono affatto eccezioni mostruose: sono epifanie totali di quello che la famiglia intimamente è. L'eccezione è riuscire a salvarsi senza troppi danni.
Ma vediamo le cose un po' più da vicino.
Nel 1958 Edward C. Banfield pubblicò insieme alla moglie Laura Fasano The Moral Basis of a Backward Society (tr. it.: Le basi morali di una società arretrata, Il Mulino, 1976) frutto di nove mesi di osservazione diretta, di test sulla popolazione, di interviste e di consultazione di archivi locali di un paesino della Lucania chiamato convenzionalmente Montegrano: lo scopo era quello di capire le ragioni dell'arretratezza sociale ed economica di certe comunità e l'ipotesi formulata fu che questa dipendesse da motivi essenzialmente culturali. La cultura di Montegrano presentava una concezione estremizzata dei legami famigliari che andava a danno della capacità di associarsi e di perseguire l'interesse collettivo. I singoli individui sembravano seguire la regola: "massimizzare unicamente i vantaggi materiali di breve termine della propria famiglia nucleare, supponendo che tutti gli altri si comportino allo stesso modo". Questa regola venne definita "familismo amorale": "familismo" perché l'individuo persegue solo l'interesse della propria famiglia e non quello della comunità che comporta collaborazione tra non consanguinei, "amorale" perché le categorie del bene e del male vengono applicate solo tra famigliari e non verso gli altri individui.
Dalla regola generale derivano alcune implicazioni che descrivono gli effetti del familismo amorale rispetto alla gestione del bene pubblico e alla vita politica. In una società di familisti amorali:
- nessuno perseguirà l'interesse comune, salvo quando ne trarrà un vantaggio proprio;
- chiunque, persona o istituzione, affermerà di agire nell'interesse pubblico sarà ritenuto un truffatore;
- solo i pubblici ufficiali si occuperanno degli affari pubblici, perché pagati per farlo; i cittadini non se ne occuperanno e se lo facessero verrebbero mal visti;
- i pubblici ufficiali saranno poco controllati, perché farlo è affare di altri pubblici ufficiali soltanto;
- i pubblici ufficiali non si identificheranno con gli scopi dell'organizzazione che servono, e i professionisti mostreranno una carenza di vocazione o senso della missione; entrambi useranno le proprie posizioni e le loro particolari competenze come strumenti da usare contro il prossimo per perseguire il proprio vantaggio personale;
- il pubblico ufficiale tenderà a farsi corrompere, e se anche non lo farà sarà comunque ritenuto corrotto;
- non ci sarà alcun collegamento tra i principi astratti, politici o ideologici, ed il concreto comportamento quotidiano;
- la legge sarà trasgredita ogni qual volta sembrerà possibile evitarne le conseguenze;
- il debole vedrà con favore un regime autoritario che mantenga l'ordine con mano ferma;
- sarà difficile creare e mantenere una qualsiasi organizzazione, perché ciò richiede una certa dose di disinteresse personale e identificazione e lealtà verso l'interesse dell'organizzazione;
- non vi saranno né leader né seguaci, poiché nessuno sarà interessato a sostenere l'impresa, tranne se motivato da interesse personale;
- il voto verrà usato per assicurarsi vantaggi materiali di breve termine, più precisamente per ripagare vantaggi già ottenuti, non quelli semplicemente promessi;
- oppure il voto verrà usato per punire coloro da cui ci si sente danneggiati nei propri interessi, anche se quelli hanno agito per favorire l'interesse pubblico;
- gli iscritti ai partiti tenderanno a rivendersi a partiti più favoriti, determinando l'instabilità delle forze politiche.
Se l'ipotesi di Banfield è che l'arretratezza sociale è una conseguenza dell'arretratezza culturale allora il problema è quello di sradicare il familismo amorale (e la corrispettiva demente visione dell'homo oeconomicus secondo la quale il libero perseguire il proprio interesse egoistico produce automaticamente, tramite la miracolosità del mercato, il bene comune) intanto impedendogli di riprodursi e fornendo alternative comuni che non possono derivare che dalla scuola pubblica (che, come ha detto Vecchioni a "Che tempo che fa" domenica scorsa è il luogo in cui viene simulata la vita).
Per quanto riguarda la famiglia, se è produttrice degli orrori descritti (e di altri più subdoli come alcuni secoli di letteratura e alcuni decenni di psicoanalisi e sociologia della famiglia hanno rivelato), meriterebbe quantomeno di estinguersi, anche se il processo sarà ancora lunghetto. Nel frattempo perché non sperimentare forme diverse di libero sodalizio tra adulti consenzienti non handicappati emotivamente e non omologati spiritualmente? Tanto per dire, perché non andare a riscoprire ad esempio l'educazione comune dei giovani israeliani nei kibbutz del dopoguerra così ben descritta da Bruno Bettelheim in "I figli del sogno", Mondadori, 1977?
Per rimettere sopra di me "il cielo stellato" e nel mio cuore "la legge morale" (che è semplicissima, per Kant e per tutti gli altri: l'uomo è un fine e non un mezzo).