
Giovanni se ne è andato ieri, quasi in punta di piedi, a 71 anni.
Giovanni era il vicino di casa di Stellarossa e di suo marito nella casa di cui ho parlato nei giorni scorsi. Amava quella casa e quel terreno su cui raccontava di aver giocato da bambino (la "casa alta" la chiamava, perché a differenza delle altre della zona era disposta su tre piani) e se ne prendeva cura praticamente da sempre, con quell'affetto burbero e terroso di cui era capace. Curava la piccola vigna, potava le piante, tagliava le canne, si occupava della manutenzione (una tegola da sistemare, un muretto da tirar su, il posto giusto per piantare un albero, il momento per fare le cose), controllava che tutto funzionasse senza problemi in tutte le stagioni, ci fossero o no i proprietari.
Durante la bella stagione, quando la casa era abitata, passava al mattino presto e lasciava sul tavolo del porticato qualche piccola testimonianza, fosse un ciuffo di basilico o alcuni pomidoro "di quelli buoni" o qualche uovo della sua amata gallinella. Durante l'inverno controllava, da benigno genius loci, che il gelo, l'acqua e la neve non provocassero danni.
Non era un uomo di cultura, Giovanni, non leggeva libri e guardava alla televisione programmi su cui è meglio sorvolare, ma non per questo si esimeva dal dire la sua su tutti gli argomenti che la voglia di chiacchierare gli faceva trovare, specialmente con noi, cittadini improbabili, che trattava bonariamente, un po' come ragazzi che avevano ancora così tanto da imparare. E di cose da insegnare, oh, se ne aveva: come tenere le forbici per potare, come impugnare una zappa, quando seminare e quando raccogliere, quali i posti giusti per questa pianta o quei fiori. E lo scuotere di testa e i borbottii quando Stellarossa (che chiamava "cittadina" o "ragazza", secondo le occasioni) voleva fare di testa sua, anche se poi aveva ragione lei.
Giovanni viveva da solo, a fianco di un fratello con cui non parlava da anni per una di quelle terribili inimicizie legate a spartizioni di eredità e terreni. Non si era voluto sposare, non so se per scelta di non avere estranei che girano per casa o se per mancanza di occasioni e passare del tempo, ma non sembra che la cosa gli pesasse più di tanto, impegnato com'era a lavorare dall'alba al tramonto, poi farsi cena, un po' di televisione e sonno.
Dire "viveva da solo" non è molto preciso: oltre alla gallinella e ad alcuni conigli, aveva due cani, Clinton e Chicco, non più giovanissimi e dall'albero genealogico fortemente indeterminato. Questi cani si erano affezionati totalmente sin dall'inizio agli abitanti della "casa alta", tanto da passare lì la notte e quasi tutto il giorno, coccolati, nutriti e partecipanti a interminabili tornei di tiro alla palletta con intercettazione al volo e riporto dubitoso. Nelle ferie che ho trascorso ospite negli ultimi anni, le regole d'ingaggio comprendevano anche almeno tre passeggiate al giorno in branco, io, loro due, Theo e Zazie, peraltro molto corteggiata dai tre.
Durante la cattiva stagione, Clinton e Chicco tornavano a risiedere stabilmente a casa di Giovanni. Ora che lui non c'è più, bisognerà trovare una sistemazione per loro, che non riuscirebbero a vivere in appartamento e non potrebbero mai essere separati. C'è ancora un po' di tempo, ma è una tristezza in più. Insieme alla tristezza per la consapevolezza dell'inutile spreco di conoscenze, di umanità, di vita, di relazioni anche discontinue e "leggere" che la morte di ognuno sempre è.
Ciao Giovanni, che la terra che hai tanto amato e faticato ti sia davvero benigna e lieve.